Installare un dispositivo GPS nell’auto del proprio partner è reato

Installare un dispositivo GPS nell’auto del proprio partner è reato

Grazie al DL 269/2010, è lecito l’uso di apparecchiature GPS per la geo-localizzazione satellitare da parte degli investigatori privati che per far valere o difendere un diritto in sede giudiziale si avvalgono di questa moderna tecnologia per agevolare le operazioni investigative.

Il GPS è uno strumento essenziale per l’investigatore privato, grazie al suo utilizzo il professionista può monitorare il soggetto investigato da remoto e svolgere gli accertamenti garantendo maggiore riservatezza ed efficienza; Oggi il detective può di fatti effettuare appostamenti e pedinamenti aumentando notevolmente le distanze che interessano i luoghi e i veicoli del soggetto sottoposto ad indagini, escludendo in tal modo il rischio di essere notato o di perderlo di vista nel traffico caotico di città come Roma e Milano.

Ma il privato cittadino può utilizzare il GPS per seguire, ad esempio, la moglie?

Svolgendo l’attività di investigatore privato mi capita spesso di svolgere bonifiche ambientali volte ad individuare eventuali microspie e dispositivi GPS occultati all’interno o all’esterno delle autovetture. Circa il 90% dei miei interventi  tecnici ha esito positivo e il più delle volte il cliente da seguito a una denuncia contro ignoti.

Quindi, si può installare un localizzatore GPS nell’autovettura di un altra persona? La risposta è “assolutamente no”. Il rischio è quello di sfociare in reati importanti come lo stalking o le molestie ripetute e perpetrate nel tempo.

In questi ultimi anni sono aumentate del 70% le denunce che hanno interessato persone non ancora rassegnate dalla rottura del loro rapporto sentimentale, i quali si sono resi autori di stalking avvalendosi dell’utilizzo di apparecchiature moderne come dispositivi satellitari GPS, microspie e micro registratori digitali, tutti strumenti di libera vendita facilmente reperibili nel web, spesso a prezzi molto bassi.

Cosa accade se si viene sorpresi a spiare un’atra persona?

A causa dei recenti fatti di cronaca nera, il legislatore si è visto costretto a prendere seri provvedimenti nei confronti di questi reati- in effetti…oggi, al termine degli accertamenti svolti da polizia e dai carabinieri, in base alle prove reperite e ai fatti contestati è possibile essere denunciati per i reati di atti persecutori, violenza privata, stalking e spesso anche per violazione di domicilio.

Se gli illeciti sono stati particolarmente gravi, il giudice potrebbe emettere un provvedimento di divieto di avvicinamento alla vittima con l’applicazione coattiva del braccialetto elettronico in grado di determinare la posizione dell’offender.

Cosa può fare l’investigatore privato per combattere il fenomeno dello stalker?

Nella nostra agenzia investigativa, gli investigatori privati svolgono un attività di indagine in grado di documentare in maniera certosina tutte le occasioni in cui il nostro assistito è stato vittima di persecuzioni o molestie, agevolando così l’intervento della pubblica sicurezza e influenzare l’opinione del giudice.

Con le bonifiche ambientali e il pedinamento di protezione il nostro cliente può muoversi liberamente e in maniera discreta senza dover temere alcuna persecuzione. Dopo aver accertato la presenza di un reato e raccolto le prove necessarie per documentare il reato di stalking, molestie o di interferenze illecita nella vita privata, la nostra attività investigativa di appostamento e pedinamento può essere palesata e diventare un forte deterrente che scoraggia eventuali malfattori dallo svolgere ulteriori attività di stalking.

Se hai necessità di un consulto per questa ed altre problematiche, puoi contattarmi al 3663839069 e ricevere la nostra consulenza.

Giuseppe Tiralongo

 

 

 

 

 

Agosto 2017 – La cassazione conferma: licenziato il lavoratore che svolge altra attività durante la malattia

Agosto 2017 – La cassazione conferma: licenziato il lavoratore che svolge altra attività durante la malattia

Anche questa volta, la Corte di Cassazione Civile, Sez. lavoro, 1° agosto 2017, n. 19089, ha riconfermato il principio per cui è punibile con il licenziamento il lavoratore “malato” che lavora durante il periodo di malattia, rafforzando la possibilità, per il datore di lavoro, di eseguire accertamenti di circostanze di fatto, atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o e, in particolare, ad accertamenti atti a comprovare l‘eventuale svolgimento da parte del lavoratore di un’altra attività lavorativa.

Svolgere attività di controllo nei casi di motivato sospetto attraverso l’uso di investigatori privati di fatto non comporterebbe alcun illecito poi che il datore di lavoro si limiterebbe ad intraprendere controlli su comportamenti illeciti, non sulla salute del dipendente; quest’ultimi eseguiti esclusivamente solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, che non precludono quindi al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto, volti a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, e quindi a giustificare l’assenza e, in particolare, ad accertamenti circa lo svolgimento da parte del proprio dipendente di un’altra attività lavorativa.

In futuro – ritengo che in Italia sia difficile ipotizzare dei “controlli fiscali privati”, però nulla vieta attualmente, di verificare eventuali condotte non corrette del lavoratore attraverso investigazioni private.
Famoso è il caso di quel dipende di una azienda municipalizzata che mentre era in malattia, si esibiva in festival musicali e pubblicava le sue performance sui social network.

Molte persone, compresi alcuni addetti ai lavori, sono convinti del fatto che qualora il lavoratore – al termine del periodo di malattia – tornasse al lavoro, senza alcun prolungamento, la sua condotta non sarebbe sanzionabile…errore! Il parere di molti avvocati del lavoro è quello che la condotta scorretta è sanzionabile anche se il lavoratore dipendente riprendesse il servizio al termine dell’originario periodo di malattia.
Mi spiego meglio: se il lavoratore malato, anche solo per pochi giorni, durante tale periodo, svolgesse la mansione di “cameriere” in un ristorante, questo rischierebbe una sanzione disciplinare, fino ad arrivare al licenziamento. Di fatti il rientro in servizio del lavoratore, dopo il periodo di malattia non giustifica l’illiceità della sua condotta, se in tale periodo egli ha svolto altra attività.

Quali sono i rischi legati alle indagini sui dipendenti?

Nella pur remota possibilità che il lavoratore dimostri che la seconda attività lavorativa non ha alcun legame con la prognosi stabilita dal medico (che il datore non conosce) a giustificazione della sua assenza e che quindi, nemmeno ostacola la guarigione il rischio dell’azienda è limitato a quello economico: ad esempio le spese che ha affrontato per affidarsi ad una agenzia investigativa o un investigatore privato, difficilmente potranno essere risarcite dal lavoratore. Mi spiego meglio: Se l’attività posta in essere durante la malattia è compatibile con lo stato di malattia dichiarato all’azienda e certificato dal medico (con prognosi ignota all’azienda per ovvi motivi), qualsiasi provvedimento disciplinare rimarrebbe illegittimo.

La prudenza non è mai troppa. Soprattutto nel nostro mondo dove l’incertezza regna sovrana e siamo esposti alle valutazioni soggettive di un Giudice.
Il presupposto per il licenziamento è, quello correttamente individuato dalla Cassazione, ovvero il pregiudizio che l’attività ulteriore del lavoratore reca alla sua guarigione e pertanto, a mio giudizio, il datore di lavoro, venuto a conoscenza della condotta scorretta del lavoratore, potrebbe avviare un procedimento disciplinare, chiedendo al dipendente le giustificazioni nei canonici 5 giorni, ed in caso applicare la sanzione disciplinare opportuna, fino ad arrivare al licenziamento.
Il licenziamento è-e rimane una sanzione disciplinare che deve rispettare i criteri di legge e rimane soggetta all’eventuale vaglio del Giudice.

Ribadisco che in ogni caso la cassazione si è oramai pronunciata in più occasioni sui controlli effettuati nei periodi di malattia. Il presupposto deve essere il sospetto della sussistenza di un comportamento non lecito, ovvero, se l’attività posta in essere non è compatibile con lo stato di malattia dichiarato all’azienda, oppure se l’attività pratica fa presupporre che stante uno stato di malattia la prestazione lavorativa poteva essere effettuata anche parzialmente o se il comportamento tenuto ha impedito le tempistiche di guarigione ritardando quindi il rientro al lavoro. Ciò premesso i controlli sono indipendenti dalla verifica dello stato di malattia dal punto di vista medico (che spetta solo all’ente preposto attraverso la visita fiscale). Gli stessi vanno effettuati attraverso professionisti seri ed affidabili, iscritti presso le diverse procure di interesse e che applichino correttamente i limiti che la legge concede.

Se vuoi hai necessità di ricevere una consulenza investigativa puoi contattarmi ai numeri sovraimpressione, riceverai risposte valide, un preventivo e qualche consiglio utile.

 

Giuseppe Tiralongo

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