L’infedeltà coniugale, finalmente si inverte l’onere della prova.
E’ quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione civile, sez. I, 25 maggio 2016, n. 10823, dove secondo l’id quod plerumque accidit, è causa del venir meno dell’affectio familiae; spetta, quindi, al coniuge autore della violazione dell’obbligo della fedeltà previsto dal contratto matrimoniale, la prova della mancanza di nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale.
La Suprema Corte, nel consolidare la sentenza della Corte d’Appello di Venezia, ha puntualizzato che l’infedeltà viola uno degli obblighi direttamente imposti dalla legge a carico dei coniugi, così da infervorare alla radice l’affectio familiae in guisa tale da giustificare, secondo una ordinaria relazione causale, la separazione e la fine del matrimonio.
È, dunque, la premessa, secondo l’id quod plerumque accidit, dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza per causa non indipendente dalla volontà dei coniugi.
Tuttavia, non per questo, tale regolarità causale assurge a presunzione assoluta.
Spetta, dunque, all’autore della violazione dell’obbligo di fedeltà la prova della mancanza del nesso eziologico tra infedeltà e crisi coniugale sotto il profilo che la sua condotta si sia inserita in una condizione matrimoniale già compromessa e segnata da un reciproco disinteresse.
Il riparto dell’onere della prova, oltre a manifestarsi rispettoso del canone legale, è altresì connesso al principio empirico di vicinanza della prova.
Considerando che da un po’ di anni l’addebito nella separazione giudiziale era visto da molti avvocati come una lontana mera, questa nuova interpretazione della legge renderà il lavoro dell’investigatore privato ancora più importante e significativo per il buon esito della controversia matrimoniale.
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